di Edoardo Campisi

Oggi il Caucaso riscopre la sua enorme vocazione vitivinicola, culla di una cultura che parla al mondo con il linguaggio di identità e rinascita. Quando si fa riferimento al “Vecchio Mondo”, erroneamente si pensa subito all’Europa, più precisamente a Francia o Italia, eppure ancor prima di loro la vite veniva coltivata tra le pendici del monte Ararat e le valli georgiane. In Armenia, nel sito di Areni Cave, gli archeologi hanno rinvenuto la cantina più antica del mondo con anfore datate circa 6200 anni fa. Una scoperta che sottolinea come qui il vino non sia mai stato una moda, bensì un rito spirituale. Veniva e viene vinificato in anfore di terracotta interrate, fermenta secondo un metodo immutato da millenni, tanto da essere riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità, perché in queste terre, non è solo bevanda, è memoria liquida, identità culturale e, forse, il modo più sincero per comprendere l’anima profonda del Caucaso. Dopo decenni di oblio sotto il dominio dell’ex URSS, negli ultimi vent’anni Armenia e Georgia stanno vivendo una vera rinascita vitivinicola. Tanti giovani produttori, spesso formatisi all’estero, stanno recuperando gli antichi metodi produttivi, integrandoli alle nuove tecnologie in totale equilibrio con la tradizione, che non vuole essere un compromesso, ma un’evoluzione consapevole. Visitare questi luoghi è un viaggio tra vigne, monasteri millenari e silenzi, un pellegrinaggio enoico. Qui, l’enoturismo non è ancora massificato, è un’esperienza intima, fatta di accoglienza familiare, cantine scavate nella roccia e di bicchieri colmi di storie incredibili.








Il nostro viaggio inizia ad Erevan
Il nostro viaggio inizia ad Erevan, capitale dell’Armenia, città ricca di vita e voglia di rivalsa, centro politico, culturale ed economico della nazione. Da lì ci siamo diretti a nord-est, nel comprensorio di Dilijan, nella regione di Tavush, famosa per la bellezza paesaggistica e chiamata la “Svizzera Armena” per le sue verdeggianti e rigogliose foreste. Visitiamo Ijevan, azienda fondata nel 1951, tra le più antiche e importanti realtà nazionali, e subito veniamo accolti con calore e trasportati in un percorso fatto di tantissime sorprese e meraviglie. Una cantina decisamente grande e dalle diverse produzioni, si passa dal vino di moderna concezione a quello vinificato in anfore di terracotta interrate, dall’elaborazione di Metodo Classico e Charmat alla produzione di Brandy ed altri distillati di frutta. Ci si apre davanti un mondo sconosciuto e affascinante. Iniziamo la degustazione di svariate bottiglie, vini corretti, in alcuni casi buoni, ma tutti con un potenziale ancora non del tutto espresso. Quello che ci ha lasciati basiti per qualità e complessità, è stato degustare dei Brandy con elevazioni in legno di quercia armena di oltre 40 anni. Prendiamo atto che durante il controllo sovietico la nazione era quasi tutta adibita alla distillazione, mentre solo pochi e coraggiosi viticoltori sono riusciti a mantenere una piccola produzione di vino tradizionale, tramandando ai posteri l’uso dell’anfora armena chiamata Karas.








Ci spostiamo a sud
Ci spostiamo a sud e come seconda tappa del nostro tour ci dirigiamo ad Areni, considerata il fiore all’occhiello del vino armeno, un paesaggio sbalorditivo per colori e panorama. Qui ci troviamo ad altitudini che oscillano dai 1400 agli oltre 1800 metri slm, in un territorio quasi lunare, arido, perlopiù calcareo e dalle screziature vulcaniche, mitigato costantemente da vento fresco, in cui troviamo anche le uniche barbatelle ancora a piede franco. Siamo al confine con l’Azerbaigian, si vedono nitide sull’altopiano le postazioni armate della frontiera, segno di un passato bellicoso ed un presente in via di definizione. Ci apre casa l’azienda Zorah Winery e ci accoglie Oshin Zorah figlio del proprietario ed enologo aziendale. Ragazzo italo armeno, preparatissimo e appassionato che, dopo studi ed esperienze all’estero è tornato a casa con tutto il suo know-how per promuovere e valorizzare questo comprensorio unico. Ci racconta la storia della sua famiglia, delle varie vicissitudini e difficoltà, di come il padre ad un certo punto della sua vita, lascia il suo importante lavoro nella moda in Italia, si trasferisce nel suo paese natio, e inizia a “dialogare” con la terra. Viene messo a dimora il nuovo vigneto, senza esperienza e con tanto coraggio, ma con la lungimiranza vincente di scommettere sulle varietà radicatesi nel corso dei millenni come Voskeat, Garandmak, Chilar, Areni Noir e Sirenì, tutte senza portainnesto americano, in grado di esprimere l’unicità di questo territorio antichissimo. La cantina è a misura d’uomo, la produzione in questo caso è veramente artigianale, è un laboratorio moderno in cui la tradizione viene esaltata con vinificazioni attente a non tradire lo stretto legame con le tradizioni. Si alternano vasche in cemento e botti di manifattura italiana affiancate alle antichissime Karas per la fermentazione dell’uva, storicamente vinificata a grappolo intero, sapientemente interrate e sigillate per svariati mesi. Lieviti indigeni e ridottissimo uso di solforosa completano il quadro. I vini degustati sono l’espressione più autentica della forza e potenza minerale che Areni riesce a conferire, stilisticamente perfetti, profondi, di carattere e proiettati a ritagliarsi un posto tra i grandi vini del mondo.





Il nostro viaggio continua
Il nostro viaggio continua spostandoci a nord ovest, presso Karas Wines nella regione di Armavir, ai piedi del monte Ararat. Siamo a circa 1000 metri di quota e questa è una delle aziende più conosciute in Armenia per grandezza e sostenibilità. Juliana Del Aguila Eurnekian, già proprietaria di un'importante cantina in Patagonia, ha trasferito in questa realtà tutta la sua esperienza con un approccio elegante e femminile. I circa 450 ettari di vigneto sono gestiti con pratiche agronomiche biologiche; i terreni, rocciosi, vulcanici e ricchi di minerali, conferiscono ai vini freschezza, complessità e piacevolezza di sorso. Ci guida in questo viaggio la responsabile marketing Arevik, ragazza preparatissima e appassionata. Ci porta per il vigneto illustrandoci tutte le differenze dei suoli e dei vitigni con dovizia di particolari. Un paesaggio incantevole, dove gli aspri e rossicci monti del Caucaso si mescolano a vigneti verdeggianti e ben curati. Sullo sfondo il monte Aratat domina con la sua mole ed il suo silenzio. In cantina possiamo constatare come nuove tecnologie possano convivere con tradizioni così radicate. Ci sono tini in acciaio, anfore di terracotta, cemento, barrique e legni di diversa grandezza. I vini presentati alla nostra attenzione sono il risultato di perfezione stilistica, in cui la materia di origine viene impreziosita da lavorazioni mirate e precise, atte a non snaturare il territorio.









Finita l’esperienza in Armenia ci dirigiamo a Tiblisi
Finita l’esperienza in Armenia ci dirigiamo a Tiblisi in Georgia. Qui il paesaggio cambia radicalmente, una realtà verdeggiante e rigogliosa molto simile al nostro Abruzzo e tutto il centro Italia. La nostra prima tappa è da Iago Winery, nel villaggio di Chardakhi, vicino a Mtskheta nella Georgia centrale. Cosa dire se non una visita fuori dal comune, e di indescrivibile poesia. Un’esperienza autentica per capire l’antica tradizione di questa terra attraverso metodi naturali, e un approccio intimo e familiare. Iago è considerato il pioniere della viticoltura biologica in Georgia, il vino viene ancora prodotto usando grandi anfore di terracotta interrate chiamate Qvevri, alcune vecchie oltre i trecento anni. La vinificazione avviene totalmente all’esterno per circa 6 mesi, da Settembre a Marzo inoltrato, viene svolta inserendo nelle anfore i grappoli interi pigiati con tutto il raspo, si utilizzano lieviti indigeni e non c’è uso di solforosa. Per affondare il cappello di fermentazione si usa un bastone che non è altro che un lungo ramo di legno, dopodiché viene coperto e sigillato tutto con argilla, da lì in poi il vino incomincia un lento cammino che trasformerà l’uva in un capolavoro mistico. Ci spiega il complesso processo che avviene all’interno, grazie alla forma ovoidale del contenitore e alla diversa temperatura tra cappello, centro e base del mosto, il liquido è in continuo e lentissimo movimento circolare, di come il raspo funga da filtro naturale, in quanto precipitando a fondo porta con se tutte le impurità, e come proteine e altre sostanze che si sviluppano in fermentazione lo preservino da ossidazioni aggressive. Arrivata la primavera si svina, ed il liquido in superficie è totalmente cristallino, non vengono effettuate filtrazioni e viene immediatamente trasferito in altre Qvevri, sempre interrate ma all’interno della cantina, per altri 7/8 mesi a seconda dell’annata. La fermentazione malolattica se avviene, avviene spontaneamente. Assaggiamo due interpretazioni di Chinuri, varietà bianca tradizionale, la prima vinificata in acciaio, la seconda, decisamente più complessa e interessante vinificata secondo tradizione. Questo vino colpisce da subito per il colore oro verde e l’assenza di toni ambrati come nell’immaginario collettivo ci si aspetti, e soprattutto per la pulizia olfattiva priva di qualsiasi difetto. Al gusto è freschezza pura e vibrante mineralità che conferiscono a questo vino una piacevolezza di beva fuori dal comune.








La seconda tappa del nostro tour
La seconda tappa del nostro tour ci porta nella regione di Kakheti, cuore pulsante della viticoltura georgiana. Ci apre le porte di casa la Badagoni Winery, ad accoglierci il direttore generale, donna vulcanica, solare e di grande affabilità, Marika Giorgadze. Da subito si percepisce che qui il vino non è casualità, in cui tradizione e tecnicismo scientifico, sono alla base di una produzione che vuole raccontare il territorio in una chiave decisamente più contemporanea. Molto ampia è l’offerta, si passa dai vini fermi di moderna concezione, ai vini spumanti, passando per i tradizionali vini in anfora e concludendo con la produzione di Chacha, distillato di vinacce simile alla nostra Grappa. Questa realtà si avvale della consulenza di personaggi illustri come l’enologo italiano Donato Lanati, e la professoressa Dora Marchi, che hanno saputo trasferire un approccio qualitativo al passo con i tempi. Grandissimo plauso va fatto a questa realtà per aver restaurato la storica cantina del Monastero di Alaverdi, risalente al XI secolo e di un fascino indescrivibile. All’interno vengono prodotti in religioso silenzio e devozione, sotto la guida spirituale dell’Abate, i vini come vuole l’antica tradizione, in Qvevri interrate. Avere il privilegio di degustare questi vini è stato emozionante, al di là del credo di ognuno di noi, hanno un fascino intimo e spirituale che ti arriva al cuore.










L'ultima tappa di questo incredibile viaggio
L'ultima tappa di questo incredibile viaggio non potevamo che farla da un personaggio a dir poco sopra le righe per bellezza d’animo, gentilezza, cultura e capacità vitivinicola. Siamo da Iberieli di Zurab Topuridze. Ci troviamo sempre nella regione del Kakheti, nella parte orientale. Questa realtà rappresenta l’espressione più vera del termine “Vin de Garage”. Fondatore dell’Associazione Vini Naturali della Georgia (NWA), Zurab produce esclusivamente vini con fermentazione, macerazione e maturazione in anfore interrate, seguendo alla lettera i dettami millenari della tradizione Kakhetiana, enfatizzando la biodiversità delle varietà locali come Rkatsiteli, Kisi, Mtsvane, Saperavi e molte altre. Prima di avventurarci nell’incredibile degustazione, ci porta a vedere il vigneto principale, adagiato su un terreno alluvionale ricco di elementi minerali come magnesio e ferro, e di argilla su base calcarea, mix ideale per la viticoltura tradizionale. Ci spiega la sua visione e il suo stile di vinificazione fresco e minerale, che consiste in una raccolta anticipata dell’uva ed una macerazione sulle bucce e relativi raspi per un periodo leggermente inferiore, per snellire il vino ed evitare che alcuni componenti naturali possano precipitare in bottiglia, rendendo meno appetibile la stessa, seppur senza modificarne il sapore. Oltre alla qualità e all’assenza totale di puzze che troppo spesso caratterizzano i vini naturali insulsi (e Lui ci tiene a specificarlo), qui si fa attenzione anche all’eleganza del colore e dell’etichetta. La cantina è di piccole dimensioni, all’ingresso sono interrate le Qvevri tradizionali per la vinificazione, al piano inferiore c’è il caveau con tutte le bottiglie in affinamento. Passano le ore e ci perdiamo in mille racconti degustando tutti e dieci i vini prodotti, ognuno dei quali con una storia e una caratteristica ben precisa e particolare, ma con un filo conduttore che li accomuna, il grandissimo respiro minerale e la persistente freschezza gustativa.
Un cammino epico, un'esperienza fatta di emozioni, scoperte e incontri che non dimenticherò mai.







